
Un paio di giorni fa una mia carissima amica sbagliò una manovra mentre guidava. Tentò di girare a sinistra dal viale. Stava passando un signore in macchina, forse una di quelle persone che si veste bene per andare a lavoro e rincasa tardi salutando i figli con un buffetto sulla testa. Ha rallentato, il distinto signore; si è affacciato dal finestrino e ha urlato “zoccola”.
La mia amica è rimasta turbata. “Zoccola” non è un termine che tende a scivolare addosso senza fatica, si sa. Ha deciso di scrivere un post su Facebook per denunciare l’accaduto. Lo riporto:
Io, solo in qualità di donna mentre sono in macchina devo sentirmi urlare dal finestrino “zoccola” per una manovra sbagliata. Non un insulto qualunque, non “incapace”, non “ma cosa stai facendo”. No, l’insulto più appropriato secondo certe persone è “zoccola”. Ci fosse stato mio padre alla guida avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? Sarebbe stato ferito in egual misura? Io non credo proprio.
PARITÀ DI GENERE, questa sconosciuta soprattutto nelle situazioni quotidiane, nelle situazioni comuni. C’è ancora tanto lavoro da fare.
Vi ho raccontato questo episodio in quanto premessa necessaria per introdurre la vera riflessione che mi ha spinta a scrivere questo articolo, ovvero l’utilizzo di termini che alludono, nel senso più strettamente letterale, al mestiere della “prostituta”. Pare proprio, infatti, che per la stragrande maggioranza delle persone che si trovano a dover denigrare una donna, sia molto difficile elaborare qualcosa che sia peggio di “troia”, “puttana”, “zoccola” ecc.
Sono insulti particolari, questi. Speciali. Perché sono insulti che tirano in ballo la sfera sessuale delle donne anche quando questa non c’entra assolutamente nulla. La professoressa mi ha bocciato? Che troia. Quella signora mi ha tagliato la strada? Sta puttana. La ragazza sbaglia la manovra? Zoccola.
Sotto lo status sopracitato, quello della mia amica, è esplosa una discussione che ha riguardato proprio l’impiego smodato di termini analoghi e il loro valore discriminante. Dopo un lungo scambio di vedute, non sempre pacifico (mea culpa), e tantissime puntualizzazioni riguardanti l’etimologia del termine rapportata al suo utilizzo attuale, sono infine emerse tre posizioni fondamentali:
1. M. scrive: “Stronza è peggio di zoccola però è meno discriminatorio”. Secondo lui, infatti, insulti unisex come “stronzo/a” andrebbero a intaccare le capacità della persona se non la sua vera essenza, mentre termini sessualizzati come “puttana” descriverebbero, seppur in maniera volgare, un mestiere. Infatti M. dice che “zoccola” “indica una professione, e le professioni di per sé non sono un insulto. Mentre Stronza intende proprio dire che sei Stronza”. Per M., comunque, i suddetti termini vengono spesso pronunciati con tono offensivo sebbene tecnicamente non lo siano. Non nega, quindi, che siano insulti gravi: sostiene però che non siano tra i più gravi in assoluto, anche se vengono rivolti esclusivamente alle donne.
2. C. ha una posizione molto diversa. Anche lui asserisce che un insulto come “zoccola” si riferisca direttamente alla professione; tuttavia, a differenza di M., ritiene che questo sia un’aggravante e non un’attenuante. Il mestiere della prostituta è culturalmente e storicamente considerato il più degradante in assoluto, oltre che esclusivamente femminile. La prostituta è la feccia della società, ed è una donna: ecco perché l’insulto più grave che una mente umana – maschile o femminile – riesca a concepire sia proprio “prostituta” (declinato nelle sue varie volgarizzazioni).
3. L’ultima posizione è la mia. Dopo aver precisato che “zoccola” deriva da “sorcio” e nell’uso popolare ha assunto il significato non di “prostituta” bensì di “donna che gode del sesso con plurimi uomini” (distinzione importante, per quanto mi riguarda), sono stata completamente smontata da C., che considerava la mia puntualizzazione non pertinente. Egli sostiene infatti che:
Zoccola non significa scrofa né sorcia, nell’italiano standard, in quanto utilizzo.
L’uomo non voleva dare a *** della sorcia, ma della prostituta, secondo me, relativamente all’estensione che fanno del termine e quindi alla sua valenza come insulto.
Puntualizzare che “zoccola” non indica la professione era secondo me sbagliatissimo, e se dovessi mai difenderti da un maschilista ti consiglio di NON farlo.
Ho avuto modo di confrontarmi con lui in seguito. La conversazione è stata interessante: sono arrivata a una conclusione che non corrisponde all’idea che avevo all’inizio. Ho ragionato, insieme a C., sul termine “zoccola” e il suo significato contestualmente all’utilizzo generale. Ecco cosa ho realizzato.
“Zoccola” non significa prostituta, come dice C. Può essere considerato uno dei tantissimi sinonimi volgari di meretrice, cortigiana o escort: il mestiere con più nomi al mondo che di fatto significa una sola cosa, ovvero ricevere soldi in seguito a un rapporto sessuale. Nell’uso comune, tuttavia, questi termini considerati estremamente offensivi vanno a descrivere un altro tipo di comportamento: ricercare il sesso, possibilmente con diverse persone, per puro godimento personale. Io sono convinta che l’uomo che ha insultato la mia amica non intendesse dire “sei una donna che per lavoro ha rapporti sessuali con sconosciuti” ma piuttosto “non sai guidare perché sei buona soltanto a scopare”.
La cosa è incredibilmente più offensiva rispetto a quello che pensavo. Per due motivi: 1) l’offesa più grave in assoluto significa “donna che fa sesso e lo fa felicemente”, attitudine che non dovrebbe assolutamente essere considerata negativa, figuriamoci come la più degradante che esista al mondo. 2) l’insulto in questione, che riguarda prettamente le scelte sessuali, viene applicato indistintamente a tutti i campi (anche quelli che con la sfera sessuale non c’entrano niente).
Ora, è vero che il linguaggio talvolta necessiti di tempi più lunghi per adattarsi ai cambiamenti culturali in atto nella società. È vero anche che forzare l’abolizione di alcuni termini senza che la popolazione abbia ancora modificato forma mentis non sia un’idea ottimale. Non sono qui per portare avanti una rivoluzione linguistica per proibire il termine “puttana” sostituendolo con insulti più polically correct. Al contrario, intendo continuare a interrogarmi su come la sessualità femminile venga ancora demonizzata, nascosta, utilizzata come insulto, considerata volgare e respinta in toto. La facilità con cui si parla di “troie” e “puttane” è disarmante. Tutte noi potremmo esserlo: ci basta curare il nostro aspetto, ricorrere alla chirurgia plastica, fare sesso, indossare vestiti aderenti, comprare reggiseni imbottiti, fare la dieta, andare a ballare, ricoprire una posizione lavorativa di prestigio, entrare in politica, commettere un errore, trattare male qualcuno, infrangere una regola, denunciare un reato, lasciare il nostro partner, rifiutare delle avances, essere insegnanti, fare carriera, avere tanti amici maschi oppure sbagliare una manovra in macchina. Questi e altri mille motivi potrebbero renderci “puttane” agli occhi di qualcuno.
Come già dissi in passato, credo che una rivoluzione serva eccome. Non linguistica ma culturale. Il primo passo è non scegliere mai più un insulto sessualizzato per offendere qualcuna, né tollerarne l’utilizzo da parte di altre/i.
Buon proseguimento.