Vita da body builder

Vita da body builder

Sono pigra. Lo sono più o meno dal giorno in cui sono venuta al mondo e faccio davvero degli sforzi incredibili per costringermi a fare sport. Mi ci posso anche mettere di impegno, e a volte ci riesco, ma la fatica che faccio a scendere di casa in tuta per fare mezzo isolato rischiando di stramazzare al suolo è davvero indescrivibile. Se a questo aggiungiamo che me piace magna’…
Ecco, quando da piccola le persone mi dicevano che da grande sarei potuta diventare quello che volevo, in cuor loro sapevano che c’era qualcosa che non sarei mai, mai, mai e poi mai potuta essere, nemmeno tra un milione di anni: una sportiva.

Sostanzialmente, quindi, gli sportivi li guardo da lontano e li ammiro proprio tanto. Chi va in palestra lo un po’ lo invidio, perché tutti i miei tentativi passati si sono sempre rivelati insuccessi completi.
Ma arriviamo al dunque: come li vedo io, i body builder e le body builder? Come persone altre, immensamente distanti da me. Non potrei seguire uno stile di vita così rigoroso nemmeno se la mia vita dipendesse da quello. Seriamente: se ne andasse della mia sopravvivenza, morirei. Non ho dubbi.
I body builder e le body builder sono persone che hanno fatto delle scelte che io non farei mai, intrapreso un percorso che per me sarebbe invivibile e col quale sono abbastanza sicura che non resisterei nemmeno due giorni. Ma ho imparato, anzi, sto ancora imparando, a essere rispettosa e tollerante verso le scelte di tutti e tutte, finché non arrivino in qualche modo a limitare la mia, di libertà.

Ecco perché mi sono irritata nell’assistere, in diverse occasioni, alle opinioni che le persone “come me” esprimevano riguardo la questione body building. L’episodio più recente (ultimo di una serie relativamente lunga, considerando che il culturismo non è di solito il primo argomento di conversazione tra noi bradipi) risale a ieri.
Siamo sui social, ancora una volta. Un gruppo relativo all’alimentazione sana, la dieta, lo sport, il dimagrimento e tutte quelle cose bellissime che sono sempre state una costante (non gradita) nella mia vita. Una ragazza pubblica un articolo che parla di una giovane body builder, arrivata a soli 24 anni a prestazioni fisiche straordinarie.
Alcune delle opinioni più popolari:
– che abominio della natura
– fa schifo, è orribile, non si può guardare, che orrore
– mi viene da vomitare
– non è femminile, sembra un uomo (x76543278234567)
– è innaturale QUINDI è sbagliato (ndr. uccidetemi ora)
– la vera donna ha le forme (ndr. fatelo)
Eccetera. Potrei andare avanti e cimentarmi col copia incolla, come ho fatto negli articoli precedenti, ma stavolta non è questo il punto. Vorrei concentrarmi sul pensiero condiviso più o meno da tutte le accanite commentatrici (donne), partendo da quelle che sostengono che senza maniglie dell’amore si sia “meno donne”, e arrivando a chi invece parlava di “scherzo della natura”. Si tratta della sempreverde “preoccupazione per la salute”, la stessa che sembra sorgere spontanea al primo avvistamento di una persona sovrappeso. “Non so se l’hai notato, ma sei grasso (grazie ar cazzo) e non so se lo sai ma questa non è salute (detto indistintamente a un obeso e a una persona con 4 kg in più presi durante il cenone diggiù)“.
Ecco, io che sono pigra, quando vedo una ragazza della mia età che ha raggiunto un tale livello di prestanza fisica, penso che io non lo farei mai. Perché non potrei e soprattutto perché non vorrei. Non mi interessa. Ma che qualcun altro scelga di farlo mi sta bene, mi allieta la giornata (oppure mi è indifferente), mi incuriosisce (oppure no), mi fa sicuramente nascere molte domande e soprattutto non mi impedisce di continuare a vivere la vita da lasagna che ho sempre vissuto. Nel caso i risultati fisici raggiunti dalla ragazza in questione non corrispondano ai miei canoni estetici (e qui potrei aprire una parentesi lunga come la Muraglia Cinese, ma lasciamo momentaneamente perdere), il massimo che potrei fare è esprimere la mia opinione in merito e finirla lì.
Invece no. Apparentemente bisogna erigersi a paladini della salute e delle scelte di vita. Perché qualcuno è convinto di sapere come una “vera donna” (il mio cuore cede) debba essere e soprattutto come debba apparire. Altri pensano di essere liberi di utilizzare parole offensive per descrivere una persona che non ha altra colpa se non quella di aver fatto scelte diverse dalle proprie. E la giustificazione per ogni insulto, ogni frase ignorante, ogni battuta discriminatoria che poteva essere evitata, è sempre la stessa. Anzi, sono due:
– se lei si concia così sa che riceverà critiche, quindi posso insultarla
– il suo stile di vita non è sano, quindi posso insultarla

Pensavo, ieri sera, a tutti quegli studiosi che nel corso della storia si sono rovinati la vista e la salute per lavorare, che ne so, nel buio e nella polvere e non compromettere manufatti artistici. O le ballerine di fama internazionale, che fin da piccole hanno costretto il loro corpo in posizioni “innaturali”. Agli atleti e le atlete olimpioniche, che hanno raggiunto risultati eccellenti consapevoli di compromettere talvolta il proprio fisico. Per rincorrere un obiettivo, signori e signore, talvolta occorre compiere sacrifici anche dolorosi. Marina Abramovic, famosissima body artist, ha sopportato violenze gravi, molestie sessuali, autolesioni e martoriazioni fisiche continue e nonostante ciò ha sempre deciso di portare a termine le proprie performance. Se una body builder decidesse di compromettere la sua salute – nella stessa misura in cui io decido di compromettere la mia stando seduta sul divano – per raggiungere un obiettivo, e pure se il suddetto fosse spingere il proprio fisico al limite, una cosa che altri considerano impensabile… ecco, se questo avvenisse: MA NON SAREBBERO STRACAZZI SUOI E BASTA?

Un saluto dal divano.

Siamo tutte zoccole

Siamo tutte zoccole

Un paio di giorni fa una mia carissima amica sbagliò una manovra mentre guidava. Tentò di girare a sinistra dal viale. Stava passando un signore in macchina, forse una di quelle persone che si veste bene per andare a lavoro e rincasa tardi salutando i figli con un buffetto sulla testa. Ha rallentato, il distinto signore; si è affacciato dal finestrino e ha urlato “zoccola”.

La mia amica è rimasta turbata. “Zoccola” non è un termine che tende a scivolare addosso senza fatica, si sa. Ha deciso di scrivere un post su Facebook per denunciare l’accaduto. Lo riporto:

Io, solo in qualità di donna mentre sono in macchina devo sentirmi urlare dal finestrino “zoccola” per una manovra sbagliata. Non un insulto qualunque, non “incapace”, non “ma cosa stai facendo”. No, l’insulto più appropriato secondo certe persone è “zoccola”. Ci fosse stato mio padre alla guida avrebbe ricevuto lo stesso trattamento? Sarebbe stato ferito in egual misura? Io non credo proprio.
PARITÀ DI GENERE, questa sconosciuta soprattutto nelle situazioni quotidiane, nelle situazioni comuni. C’è ancora tanto lavoro da fare.

Vi ho raccontato questo episodio in quanto premessa necessaria per introdurre la vera riflessione che mi ha spinta a scrivere questo articolo, ovvero l’utilizzo di termini che alludono, nel senso più strettamente letterale, al mestiere della “prostituta”. Pare proprio, infatti, che per la stragrande maggioranza delle persone che si trovano a dover denigrare una donna, sia molto difficile elaborare qualcosa che sia peggio di “troia”, “puttana”, “zoccola” ecc.
Sono insulti particolari, questi. Speciali. Perché sono insulti che tirano in ballo la sfera sessuale delle donne anche quando questa non c’entra assolutamente nulla. La professoressa mi ha bocciato? Che troia. Quella signora mi ha tagliato la strada? Sta puttana. La ragazza sbaglia la manovra? Zoccola.

Sotto lo status sopracitato, quello della mia amica, è esplosa una discussione che ha riguardato proprio l’impiego smodato di termini analoghi e il loro valore discriminante. Dopo un lungo scambio di vedute, non sempre pacifico (mea culpa), e tantissime puntualizzazioni riguardanti l’etimologia del termine rapportata al suo utilizzo attuale, sono infine emerse tre posizioni fondamentali:

1. M. scrive: “Stronza è peggio di zoccola però è meno discriminatorio”. Secondo lui, infatti, insulti unisex come “stronzo/a” andrebbero a intaccare le capacità della persona se non la sua vera essenza, mentre termini sessualizzati come “puttana” descriverebbero, seppur in maniera volgare, un mestiere. Infatti M. dice che “zoccola” “indica una professione, e le professioni di per sé non sono un insulto. Mentre Stronza intende proprio dire che sei Stronza”. Per M., comunque, i suddetti termini vengono spesso pronunciati con tono offensivo sebbene tecnicamente non lo siano. Non nega, quindi, che siano insulti gravi: sostiene però che non siano tra i più gravi in assoluto, anche se vengono rivolti esclusivamente alle donne.

2. C. ha una posizione molto diversa. Anche lui asserisce che un insulto come “zoccola” si riferisca direttamente alla professione; tuttavia, a differenza di M., ritiene che questo sia un’aggravante e non un’attenuante. Il mestiere della prostituta è culturalmente e storicamente considerato il più degradante in assoluto, oltre che esclusivamente femminile. La prostituta è la feccia della società, ed è una donna: ecco perché l’insulto più grave che una mente umana – maschile o femminile – riesca a concepire sia proprio “prostituta” (declinato nelle sue varie volgarizzazioni).

3. L’ultima posizione è la mia. Dopo aver precisato che “zoccola” deriva da “sorcio” e nell’uso popolare ha assunto il significato non di “prostituta” bensì di “donna che gode del sesso con plurimi uomini” (distinzione importante, per quanto mi riguarda), sono stata completamente smontata da C., che considerava la mia puntualizzazione non pertinente. Egli sostiene infatti che:

Zoccola non significa scrofa né sorcia, nell’italiano standard, in quanto utilizzo.
L’uomo non voleva dare a *** della sorcia, ma della prostituta, secondo me, relativamente all’estensione che fanno del termine e quindi alla sua valenza come insulto.
Puntualizzare che “zoccola” non indica la professione era secondo me sbagliatissimo, e se dovessi mai difenderti da un maschilista ti consiglio di NON farlo.

Ho avuto modo di confrontarmi con lui in seguito. La conversazione è stata interessante: sono arrivata a una conclusione che non corrisponde all’idea che avevo all’inizio. Ho ragionato, insieme a C., sul termine “zoccola” e il suo significato contestualmente all’utilizzo generale. Ecco cosa ho realizzato.

“Zoccola” non significa prostituta, come dice C. Può essere considerato uno dei tantissimi sinonimi volgari di meretrice, cortigiana o escort: il mestiere con più nomi al mondo che di fatto significa una sola cosa, ovvero ricevere soldi in seguito a un rapporto sessuale. Nell’uso comune, tuttavia, questi termini considerati estremamente offensivi vanno a descrivere un altro tipo di comportamento: ricercare il sesso, possibilmente con diverse persone, per puro godimento personale. Io sono convinta che l’uomo che ha insultato la mia amica non intendesse dire “sei una donna che per lavoro ha rapporti sessuali con sconosciuti” ma piuttosto “non sai guidare perché sei buona soltanto a scopare”.
La cosa è incredibilmente più offensiva rispetto a quello che pensavo. Per due motivi: 1) l’offesa più grave in assoluto significa “donna che fa sesso e lo fa felicemente”, attitudine che non dovrebbe assolutamente essere considerata negativa, figuriamoci come la più degradante che esista al mondo. 2) l’insulto in questione, che riguarda prettamente le scelte sessuali, viene applicato indistintamente a tutti i campi (anche quelli che con la sfera sessuale non c’entrano niente).
Ora, è vero che il linguaggio talvolta necessiti di tempi più lunghi per adattarsi ai cambiamenti culturali in atto nella società. È vero anche che forzare l’abolizione di alcuni termini senza che la popolazione abbia ancora modificato forma mentis non sia un’idea ottimale. Non sono qui per portare avanti una rivoluzione linguistica per proibire il termine “puttana” sostituendolo con insulti più polically correct. Al contrario, intendo continuare a interrogarmi su come la sessualità femminile venga ancora demonizzata, nascosta, utilizzata come insulto, considerata volgare e respinta in toto. La facilità con cui si parla di “troie” e “puttane” è disarmante. Tutte noi potremmo esserlo: ci basta curare il nostro aspetto, ricorrere alla chirurgia plastica, fare sesso, indossare vestiti aderenti, comprare reggiseni imbottiti, fare la dieta, andare a ballare, ricoprire una posizione lavorativa di prestigio, entrare in politica, commettere un errore, trattare male qualcuno, infrangere una regola, denunciare un reato, lasciare il nostro partner, rifiutare delle avances, essere insegnanti, fare carriera, avere tanti amici maschi oppure sbagliare una manovra in macchina. Questi e altri mille motivi potrebbero renderci “puttane” agli occhi di qualcuno.

Come già dissi in passato, credo che una rivoluzione serva eccome. Non linguistica ma culturale. Il primo passo è non scegliere mai più un insulto sessualizzato per offendere qualcuna, né tollerarne l’utilizzo da parte di altre/i.

Buon proseguimento.