Dalla parte di Hannah Baker: perché “Tredici” non è una serie da scartare

Dalla parte di Hannah Baker: perché “Tredici” non è una serie da scartare

ATTENZIONE: l’articolo che segue contiene spoiler.

13 Reasons Why (in italiano Tredici) è una serie tv di Netflix basata su un romanzo per adolescenti. La protagonista è Hannah Baker, una liceale che commette il suicidio dopo aver registrato sette cassette destinate alle tredici persone che avrebbero contribuito a spingerla verso il gesto estremo. Lo spettatore segue la storia di Hannah attraverso gli occhi del suo amico Clay.

La serie ha goduto, e gode tutt’oggi, di un successo mondiale. Aldilà delle molte valutazioni positive, che ritengo superfluo trattare in questa sede, Tredici ha ricevuto fin dal primo giorno numerosissime critiche.

Mi è sembrato di cogliere due filoni principali:

1) I banalizzatori, tra cui più degli altri spicca il nome altisonante di Selvaggia Lucarelli. Sono coloro che sostengono che Hannah Baker non solo non avesse ragioni valide per suicidarsi, ma che fosse proprio una palla al piede. Sì perché Hannah, fondamentalmente, si lamenta. E lo fa nonostante la famiglia quasi perfetta, dove le liti sono così pacate da far risultare le mie, di incazzature, come veri e propri crolli nevrotici; nonostante la bella presenza, per la serie (sempre in voga) “ma cosa ti lamenti se sei pure carina”; nonostante le persone attorno a lei si trovino, spesso, ad affrontare drammi ben peggiori; nonostante tutto questo, Hannah si lagna. Non accetta la nomination a “miglior culo della scuola”, non gradisce gli apprezzamenti sessuali espliciti da parte dei suoi compagni, urla addosso a quel povero Clay senza che lui abbia alcuna colpa.

2) Gli allarmisti, ovvero persone preoccupate che una rappresentazione così realistica del suicidio possa costituire un serio rischio di emulazione tra i più giovani, veri destinatari della serie (e, presumibilmente, del messaggio di cui si fa portatrice). La scena incriminata vede Hannah in una vasca da bagno che, senza edulcorazioni, si taglia le vene. Tra le prime segnalazioni c’è quella di Headspace, un’associazione australiana di salute mentale che si interroga sui potenziali pericoli che potrebbero derivare dalla trattazione “irresponsabile” e sommaria di temi molto complessi.

Partiamo da una premessa: Tredici è un teen drama. Se non amate il genere – che sia perché siete ormai adulti o perché non riuscite più ad apprezzare nulla oltre a un Lars Von Trier in lingua originale – probabilmente non lo gradirete. Io, che di serie adolescenziali non ne guardo da anni, l’ho trovato un prodotto abbastanza accurato, non particolarmente brillante ma d’altronde senza pretese artistiche. Quasi per definizione le serie teen nascono per mero intrattenimento: a quest’ultimo, Tredici aggiunge alcune riflessioni importanti. In modo semplice, a tratti naive, ma immediato. Il messaggio arriva.

Il climax della serie è una violenza sessuale. Il colpevole è Bryce: bello e impossibile, capitano della squadra di basket, rappresentante d’istituto e stupratore. In un primo momento abusa di Jessica Davis, la ragazza del suo amico Justin; poi di Hannah. L’escalation che porta lo spettatore a questo snodo narrativo fondamentale inizia con la primissima puntata: assistiamo al graduale deterioramento dei rapporti sociali di Hannah, alle prese in giro (spesso a sfondo sessuale), ai suoi errori. Impariamo a riconoscere i sintomi del suicidio, ignorati dall’occhio poco allenato dei coetanei. La vediamo abbandonata, violentata e infine morta.
L’ambientazione è decisamente americana, i personaggi quasi irrealistici nella loro accuratezza estetica, i loro caratteri a tratti standardizzati (non sempre). Nonostante questo ho fatto fatica a mantenere il mio cinismo iniziale.
Sarà che col bullismo, direttamente e indirettamente, ho avuto a che fare.
Sarà che la serie tratta un argomento che mi sta molto a cuore: le molestie a sfondo sessuale, di frequente passate inosservate, talvolta giustificate dalla stessa vittima e il cui impatto psicologico viene spesso minimizzato.
Sarà che negli Stati Uniti il tasso di suicidi adolescenziali è in costante crescita e la stessa struttura dell’istituzione scolastica sembra incoraggiare le gerarchie sociali. Cheerleader, nerd, comitati organizzativi di eventi scolastici: aggregazioni non inclusive che ormai conosciamo benissimo anche noi, cresciuti col mito degli USA.

Ho apprezzato la volontà di evidenziare il marcio in una società a prima vista perfetta, dove l’apparenza sembra essere il motore di tutte le cose. Mi è piaciuta Hannah, perché è una delle tipiche protagoniste delle serie tv americane: bella, curata, ironica, intelligente e discriminata. Però, a differenza delle varie Louise, Jenna e Abigail, Hannah finisce per cadere in depressione e togliersi la vita. Mi sono piaciuti gli altri personaggi perché – escludendo quell’animale di Bryce e forse un paio di altri – non sono dei mostri. Lo diventano nel momento in cui le loro azioni vengono inserite in un quadro generale più ampio. Commettono errori, più o meno comuni, più o meno gravi. Proprio come Hannah, che se fosse nata a Pino Torinese, invece che in America, probabilmente le cassette le avrebbe mandate a noi.

Tirando le somme, il mio giudizio generale è abbastanza positivo. Il rischio di emulazione non è da sottovalutare, ma non si tratta di un caso isolato. Prendiamo, per esempio, uno dei tanti film sui disturbi alimentari: Maledimiele, film italiano semi-sconosciuto (ma premiato). La protagonista, Sara, è accompagnata in tutte le fasi di anoressia nervosa. Spesso si chiude in bagno e si induce il vomito con un calzascarpe. Ecco, credo che Tredici possa potenzialmente spingere al suicidio individui che si trovano in una fase di depressione acuta tanto quanto Maledimiele possa suggerire ad adolescenti bulimiche un nuovo modo per vomitare dopo un’abbuffata. Si tratta di pure ipotesi, ma la paura è legittima. Visto che la censura non è un’opzione praticabile – e considerato il fatto che internet da solo rappresenti un serbatoio infinito di spunti al suicidio, con gruppi di supporto e blog ispiratori, non resta che la visione consapevole.

(È stata proposta, tra le altre cose, una petizione che promuoveva la visione di Tredici nelle scuole. La questione è stata ampiamente criticata, anche se, in effetti, una scelta del genere potrebbe essere una delle modalità migliori per garantire una visione consapevole. In ogni caso, questa è un’altra storia. E no, non ho firmato la petizione.)

Insomma, Tredici non è un capolavoro. Ma pur riconoscendone i limiti ve la consiglio comunque. Quanto ad Hannah, in fondo, le si vuole un po’ bene.